TRA I MISTERI DI PALERMO: I BEATI PAOLI

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view post Posted on 6/5/2011, 16:35
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TRA I MISTERI DI PALERMO:

I BEATI PAOLI





Di misteri Palermo ne nasconde parecchi, ma c’è ne uno che dura cinque secoli, il segreto di una setta che ha attraversato vicoli e sotterranei del centro storico, osannati o maledetti erano i Beati Paoli.

Chi erano veramente questi “scellerati” come li definì il Marchese di Villabianca che ne parlò in uno dei suoi diari palermitani, in uno degli ultimi “Opuscoli” scritti nel 1790.

La loro vicenda, inquadrata in un contesto settecentesco, si snoda lontano dal mare, dai colori e dalla luce dell’abbagliante sole palermitano, si dipana nel cuore segreto di Palermo, tra gli antri oscuri e le gallerie sotterranei di uno dei quartieri più popolare, “il Capo”.

Ancora oggi, in questi luoghi, quando si accenna alla loro esistenza, l’uomo di strada si cela dietro un alone di omertà, infatti, sembra impossibile, a distanza di tanti secoli dal loro presumibile scioglimento sono protetti dal popolo incredulo, ogni qualvolta a Palermo si scopre una cavità sotterranea tutti ricorrono mentalmente alla famosa setta d’incappucciati.

Misteriosa e temuta, questa setta, operò tra la fine del XV e, la prima metà del XVI secolo, nata dallo strapotere e dai soprusi dei nobili, che amministravano direttamente la giustizia, agiva nell’ombra e nella massima segretezza per proteggere i deboli e gli oppressi.

Di questa setta l’origine è oscura non esistendo fonti storiche e tanto meno documenti che possano attestare la loro esistenza, la sua storia fu tramandata esclusivamente dalla tradizione orale e tutti i letterati attingono nel famigerato “Opuscolo” dell’erudito palermitano che ne descrisse i luoghi e il suo famigerato tribunale, anche gli autori come il Linares ed il Natoli in seguito hanno attinto in esso, fino a quest’ultimo quando all’inizio del novecento pubblicò “I Beati Paoli”, lo scrisse tra il 1909 e il 10 come romanzo d’appendice che veniva regalato dal Giornale di Sicilia ai propri lettori, ebbe un successo enorme, è compi un miracolo retroattivo, diede concretezza ad una favola, quello che era stato un racconto un po’ confuso e con mille particolari diversi secondo il narratore, acquistò dignità, diventò realtà accettata da tutti, forse grazie alle diverse descrizioni di angoli della città, in cui si svolgevano gli avvenimenti, realmente esistenti ed all’inserimento di personaggi operanti nella vita quotidiana palermitana di quel periodo settecentesco, dame incipriate ed intricate, cavalieri ardimentosi che si battevano per difendere l’onore di queste donne insidiate, avvelenatrici che spacciavano veleno in una società sfarzosa, dove sbocciavano amori purissimi e passioni insane, circolavano “birri” che indagavano per loschi interessi, inseriti per impressionare la fantasia popolare.

Il Villabianca nel suo “opuscolo” (tomo XVI) fa capire, con qualche rivelazione incerta, l’esistenza della setta dei Beati Paoli che viene fatta risalire alla fine del XII secolo e noti con l’antica denominazione di “Vendicasi” e, allegando nientemeno che dei nomi di alcuni dei suoi adepti: il “razionale” Girolamo Ammirata impiccato al piano del Carmine nel 1723, il maestro scoppettiere Giuseppe Amatore passato per la forca nel 1704 nel piano della Cattedrale, ed il consapevole amico del Marchese e famoso cocchiere Vito Vituzza.

Nel romanzo natolitano, i Beati Paoli, si comportano a fin di bene, tolgono ai ricchi e danno ai poveri, le gesta di questi uomini che all’occasione risultavano essere incappucciati e, vestiti di un saio nero dei frati minimi di San Francesco di Paola, punivano i potenti responsabili di soprusi sfuggendo alla legge costituita.

Palazzi e chiese erano collegati da una fitta ragnatela di cunicoli che permettevano agli appartenenti alla setta di agire indisturbati e di trovarsi là dove nessuno se lo aspettava, infondo così racconta la leggenda.

Come è legato San Francesco di Paola ai Beati Paoli ? Solo ed esclusivamente all’abito che indossavano e, per la vicinanza del convento al quartiere in cui essa agiva e alcuni narratori vogliono dire alla presenza di un pozzo che comunicasse con la fitta rete sotterranea del “Capo”.

Gli adepti venivano prelevati di notte e condotti nel covo segreto della setta per essere affiliati con il rituale clandestino, la stessa procedura di prelevamento seguivano gli imputati e davanti ad un tribunale venivano interrogati e a volte sentenziati a morte.

Processavano chi abusava del proprio potere e della particolare posizione sociale, per commettere soprusi ai danni dei più deboli ed indifesi.

Chiunque avesse subito un’ingiustizia poteva contare su l’intervento di questa società segreta, che emetteva verdetti inappellabili e spietati, chi veniva condannato a morte, senza scampo, la sentenza veniva eseguita a colpi di pugnale.

“Era una specie di grotta, scavata nel tufo di forma circolare a cupola, in mezzo al locale vi era posizionata una tavola di pietra, l’uomo che aveva dato l’ordine stava seduto dietro quella tavola, il suo cappuccio nero era ampio e tutto chiuso come i confrati incappucciati e gli scendeva in mezzo al petto” così lo descriveva nel suo romanzo il Natoli il loro tribunale con il “Capo” che sentenziava.

Il misterioso antro, visitato nella seconda metà del settecento dal Marchese di Villabianca di cui lasciò un’ampia descrizione di quello che aveva visto nei suoi “opuscoli palermitani”...

E’proprio li, immersa nel trambusto di uno dei più vivaci mercati popolari di Palermo, quello del “Capo”, una targa marmorea, ben visibile sulla facciata di un vecchio palazzo, che non lascerebbe dubbi, nella quale sono incise queste parole: “Antica sede dei Beati Paoli”, voluta espressamente nei secoli passati da un altro versato che la visitò: Vincenzo Di Giovanni e, che da diversi anni rimane nell’oblio per intrecciare ancora una volta la realtà con la leggenda.

“La casa dell’avvocato Giovambattista Baldi si trova a San Cosimo nella vanella di Santa Maruzza, nel quartiere Capo.
Dal primo piano dell’ingresso di questa casa, passando per una porticina, si arriva in un piccolo baglio scoperto, in cui sorge un basso albero boschigno, e il piano su cui si cammina non è altro che lo strato di una volta ben larga, che copre la grotta sottostante.
Nel centro della volta vi è un occhio con grata di ferro che serve da spiraglio e lume alla sotterranea caverna.
In questa scendersi per cinque scoglioni di pietra rustica che in faccio presentarvi in una piccola oscura stanza con in mezzo un tavolo, da qui si entrava nella principale grotta ove trovasi una ben larga camera con sedili tutto all’intorno e col comodo di cava o sia nicchie e scansie nelle quali si posavan l’armi si di fuoco che di ferro”...

"…or qui adunavansi questi sectarij e vi tenevano le loro congreghe in luoghi oscuri e dopo il tocco della mezzanotte vi capitavano onde e tutte facevansi a lume di candela”.

Aggiunge il Villabianca che, oltre l’ingresso di casa Baldi, in vicolo degli Orfani esisteva un altro accesso alla grotta.

Oggi, dopo un accurato restauro della zona, la grotta con gli annessi ha riaperto una nuova ipotesi su quella che di tanto mistero avvolse la fatidica setta.

Essa, fa parte di un complesso di cavità di quello che era il letto naturale del fiume Papireto, ricavata nella sua sponda di sinistra in un grosso blocco di calcarenite.

Nei secoli, venne interessata , ora come luogo di riunione segrete (secondo quanto tramandatoci dalle tradizioni), ora come butto, cioè come immondezzaio privato, sfruttando la preesistenza dell’ipogeo, ora come rifugio durante le incursioni aeree della seconda guerra mondiale.

Ma la vera funzione per cui fu utilizzata sin dal XVIII secolo, per le sue caratteristiche si richiama a quelle che erano le “camere dello scirocco”.

Il baglio scoperto esiste ancora, sul retro della chiesa di Santa Maruzza di cui ne è la quinta, era fino a poco tempo fa un piccolo giardino, ma l’albero boschigno che copriva l’accesso alla grotta è stato tagliato tanto tempo fa, dopo il restauro del baglio si è ricavato un cortile lastricato che serve come accesso.

All’antro, accessibile da nove gradini, si perviene attraverso un piccolo ingresso che dà sul vicolo degli Orfani dove è presente una vasca seicentesca con un ninfeo in pietra lavica, alimentata da una vecchia torre d’acqua.

Al centro di Essa si vede ancora il buco o lucernaio, ostruito dal recente rinnovamento della palazzina soprastante (ex palazzo Baldi).

La cavità in un angolo, nella parete di sinistra, contiene un profondo pozzo seriale con piccoli incavi dette “pedarole” per raggiungere la sorgente alimentata da acqua limpidissima.

E’ attorniata da un sedile in pietra ricavato nella stessa roccia, nella parete di destra è ricavata una nicchia aperta che fa pensare ad un passaggio.

Accanto ad essa, alla profondità di tre metri e mezzo, c’è un cunicolo che porta ad altre grotte, che sicuramente custodiscono nuovi misteri.

Cunicoli che affondano la sua distesa rete in una presenza presso il più vasto dei complessi cimiteriali ipogei conosciuti a Palermo, le Catacombe paleocristiane dell’IV-V secolo d.c., e si dipartono oltre le antiche mura di Porta d’Ossuna, nella depressione naturale del trans-papireto che si distribuiscono all’interno del quartiere, il “Capo”, segreto di quell’imprendibilità che contribuì ad alimentare il loro mito e l’alone di mistero che li circondava.

I giustizieri erano in grado di apparire misteriosamente al cospetto della vittima designata, colpire e sparire rapidamente.

L’esistenza di altri ipogei nel sottosuolo palermitano come: cripte al di sotto delle chiese o quella della canalizzazione delle acque “qanat” o passaggi scavati sotto terra creati di proposito come quello delle monache di Santa Caterina per raggiungere un loggiato sul Cassaro ed assistere alle varie manifestazioni che vi si svolgevano senza essere viste.

O semplicemente per creare un accesso per scendere nella sepoltura sottostante come il curioso scanno di un mobile di sagrestia in legno intagliato che si trova all’interno della seicentesca chiesa di San Matteo.

Grazie a questo reticolo di cunicoli estremamente esteso che, l’autore del romanzo mette in evidenza, che attraversava tutta Palermo ed arrivava fino in aperta campagna permettendo ai fuggiaschi di scomparire.

Esplorati in tempi recenti, sia questi descritti, sia gli altri ipogei poco conosciuti non rivelano i loro segreti, conservano ancora i loro misteri.

Realtà o leggenda, a noi piace credere che i Beati Paoli siano realmente esistiti e perché no, un giorno forse ritorneranno all’azione, per adesso la loro storia rimane nascosta tra i mercati, le mura e le chiese di una delle più affascinanti città... Palermo.


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www.palermoweb.com/panormus/associazione/setta1.htm
 
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view post Posted on 6/5/2011, 23:15
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